Firenze, 9 marzo 2016 – La sua sciarpa nero-arancio appoggiata sul feretro, le rose bianche e una maglia con su scritto «Il Presidente». Oltre 200 persone, ieri pomeriggio, hanno affollato la chiesa di Sant’Ilario in Colombaia per il funerale di Giorgio Borchi, storico presidente del Porta Romana Calcio — società da lui fondata nel lontano 1959 — scomparso lunedì all’età di 87 anni.
«Eri burbero e non amavi le sdolcinatezze, ma eri un grande combattente, amante della vita, grande esempio di onestà e dignità, eri il nostro guerriero invincibile». Così la figlia Beatrice ha ricordato il padre, uomo semplice che si sporcava le mani. Proprio lui, quasi sessant’anni fa, costruì il terreno di gioco accanto a Bibe, la famosa trattoria in via delle Bagnese. E da allora, ogni domenica era lì, seduto sulla panchina a tifare Porta Romana. S’infervorava, s’appassionava. E ogni giorno andava al campo, per verificare che fosse tutto a posto, per mettere in ordine, per fare squadra e infondere ai giovani i valori veri dello sport.
«Era un uomo umile — ha ricordato don Daniel durante l’omelia — Prima della giornata inaugurale del campionato, veniva ogni anno qui per benedire tutta la squadra». Ecco la squadra ed ecco i giocatori, schierati in fondo alla chiesa per portare l’ultimo saluto al proprio presidente.
Ci sono i grandi della prima squadra, che milita in Eccellenza, e ci sono i più piccoli dei Giovanissimi. C’è tutta la grande famiglia del Porta Romana, i giocatori di ieri e quelli di oggi. Ci sono gli amici del quartiere, c’è l’assessore comunale allo sport Andrea Vannucci e il vicepresidente del comitato regionale Figc Vasco Brogi. C’è il presidente dei Bianchi del Calcio Storico Marco Baldesi e c’è Stefano Fiorini, responsabile della società, c’è il presidente della Rondinella Federico Bagattini e il presidente del comitato provinciale Figc Roberto Bellocci, ex calciatore del Porta Romana. E poi i sei nipotini di Giorgio insieme ai tre figli Beatrice, Simone e Leonardo (sindaco di Vaglia), che ha ricordato quel giorno del 1944 in cui i nazifascisti catturarono il padre: «Lo presero in via Senese, lo caricarono su un camion verso la Germania, lui riuscì a scappare buttandosi dal camion in corsa all’altezza di Ferrara. Tornò a Firenze, si nascose fino alla liberazione della città e poi salì sul primo carro armato degli alleati arrivato in città con tre bombe a mano».
Era un guerriero buono, Giorgio Borchi, più attento all’essenza che all’apparenza, che insegnava agli altri l’autenticità dei sentimenti. In suo ricordo, domenica prossima, su tutti i campi in cui giocheranno con il lutto al braccio le squadre del Porta Romana, dai Giovanissimi fino alla prima squadra, si osserverà un minuto di silenzio. Poi sarà calcio. Come piaceva al «Presidente».
Fonte: Corriere Fiorentino