Firenze, 15 gennaio 2015 – La bella intervista a Lucas Batistuta realizzata da Filippo Baffa e pubblicata sul Corriere Fiorentino in edicola oggi:
La faccia è proprio quella. Occhi vispi e zigomi… alla Bati. Niente criniera però, capello corto. Il figlio del Re Leone è ancora un cucciolo. Un baby Batistuta, di nuovo a Firenze. «Non mi ricordo molto, ero troppo piccolo, però so che abbiamo vissuto nella casa di Roberto Baggio». Lucas se ne è andato che era un bambino e adesso, a 18 anni, è tornato. Abita a (e gioca nel) Porta Romana, in un appartamento di tre stanze. «Piccolo ma bello». E poi può andare al campo, alle «Due Strade», a piedi, o in bus (non ha ancora la patente). «Ma viene quasi sempre a prendermi Matteo (Locchi, suo compagno di squadra, ndr )». Piano, piano, sta riprendendo contatto con la città che ha dentro, dove, secondo dei tre Batistuta fiorentini, è nato nel 1996, l’anno del grido «Irina te amo».
Due Strade, il suo piccolo mondo. Dopo aver raccolto i palloni a fine allenamento e la doccia, per la prima volta lo racconta. «Non avevo mai vissuto lontano dalla famiglia, ma ci sono Skype e WhatsApp». Sorride. Spesso, per via del fuso orario, tira le ore piccole in chat con la sua Dalila («Abbiamo fatto il liceo insieme»). La aspetta qua, dove ora c’è la sua vita. «Ogni giovedì andiamo al “Pipistrello”, là vicino, a mangiare la pizza con la squadra. La pizza mi fa impazzire e anche la pasta». Eredità di gioventù. «Mamma ha imparato qui a cucinarle. Ora che sono solo vado a fare la spesa con Emilio (il cuoco, ndr )». Intervengono — con un sorriso — Lorenzo Taiti, il ds, e Alessandro Gazzareni, una delle anime del Porta Romana. «Meno male, sennò chissà che compra». Lo tengono d’occhio sul peso, ma anche sul resto. «Il padre si raccomanda tutti i giorni». Una parte importante della sua Little Italy è Stefano Fiorini, che è stato preparatore atletico della Fiorentina di papà Gabriel, e si è occupato delle gambe del campione anche nei momenti più difficili dopo il ritiro, i dolori atroci e le operazioni alle caviglie che lo hanno rimesso in piedi. E poi il giornalista-amico Mario Tenerani, a stargli accanto e ricordargli i luoghi di un’infanzia speciale. «Hobby? Il calcio. Ho messo Sky, guardo tutto. Premier, Liga, Bundesliga. E su Internet il campionato argentino». E l’amato Boca. «Eh sì, così è contento il babbo». Lo chiama proprio così, alla toscana, reminiscenza di un italiano comunque già fluente. «Siamo gli unici in casa, mamma e gli altri fratelli tifano River». Mentre il viola mette tutti d’accordo. «Certo, in Italia solo Fiorentina. Adoro Cuadrado». Ma gli idoli sono i centravanti, sudamericani. «Gomez è in crisi psicologica, la porta diventa piccola piccola. Adoro Tevez, Higuain e Falcao». Lucas ha cominciato tardi a giocare, attaccante ovviamente, una volta finito il giro del mondo che, dopo l’Italia («Firenze e Roma, a Milano non siamo andati», spiega), ha portato i Batistuta in Qatar, in Australia, prima del ritorno in Argentina. «Ho iniziato a 14 anni nel Platense, poi Colon di Santa Fè e Boca Unidos». Ma non aveva mai giocato in una prima squadra. Il destino ha voluto che lo facesse nel posto in cui è nato. «Quest’estate gli amici del babbo me lo avevano proposto, ma lui non voleva. Poi un giorno viene da me e mi fa “Sabato parti per Firenze”».
Cosa significhi se ne è accorto passeggiando per la città, dalle foto nei bar, santini ingialliti che ritraggono il padre vestito di viola alla bandierina, con il dito alla bocca o la «mitraglia», oppure immortalato tra gli avventori con dedica. E’ come se il figlio di Maradona giocasse a Napoli, e Lucas lo sa. «Al babbo non piace parlare del passato. Mi lascia tranquillo, mi dice solo che niente e impossibile, uno può essere bravo o meno, ma nel calcio serve cuore, grinta, impegno. Quelli ci devono essere sempre». L’ha preso in parola. I dirigenti dicono di lui che, oltre ad avere margini di crescita naturali, a volte va addirittura frenata la sua generosità. Dopo sei mesi di attesa, perché le carte per il passaporto italiano e tutti i permessi fossero in ordine, domenica scorsa l’esordio da titolare con i grandi, nel Porta Romana, campionato di Eccellenza. Ha sfiorato la rete, ha bisticciato con gli avversari, la tempra c’è. A dispetto del viso da ragazzino. «No, nessuno mi riconosce in giro, per fortuna! Una volta sono andato all’allenamento col babbo e c’era gente ovunque, ci sono saliti sulla macchina, incredibile». Eppure guardandolo, la faccia è proprio quella. Di chi sogna il (primo baby Bati) gol. E Firenze gli vorrà bene comunque. Come a un figlio.