«Ciao Giorgio». Semplice, commosso, il saluto dei suoi ragazzi. «Durante la notte ci ha lasciato Giorgio Borchi, amico fraterno per tutti noi, prima ancora che presidente della società», si leggeva ieri mattina sul sito ufficiale del Porta Romana calcio. Se ne va il padre del club d’Oltrarno, gestito oggi da quelli che negli anni sono stati i suoi giocatori. I suoi ragazzi.
I funerali oggi alle 15, ovviamente nella chiesa di Sant’Ilario a Colombaia, per lui che ha vissuto sempre tra via Ugo Foscolo e via Mascagni, lì dove nel 1959 fondò la squadra che nel 1964 diventò Porta Romana dopo la cessione del terreno al «Bibe», dal nome della trattoria davanti a cui Borchi con le proprie mani costruì il campo, assieme all’altro indimenticato protagonista della storia arancio-nera, Piero Marzoppini. «Domenica pioveva, in panchina c’erano i seggiolini bagnati. Ho pensato a quelli vecchi al “Bibe”. E a Giorgio che li asciugava col suo panno, prima di ogni partita», racconta Stefano Fiorini. Uno di quei ragazzi diventati uomini, che col tempo hanno preso a cuore le sorti della società nella quale sono cresciuti portandola ad essere la seconda squadra di Firenze. La vittoria più bella per Giorgio Borchi, che due anni fa aveva riunito tutti nelle celebrazioni per il cinquantenario. «Alla festa del settore giovanile a inizio stagione — racconta Fiorini — fece un discorso appassionato: “Dovrete essere quello che ora siamo noi” diceva. Questo senso di comunità e continuità era il suo chiodo fisso». Fino a 87 anni è rimasto un punto di riferimento: «Ogni giorno veniva al campo a controllare, verificare, mettere in ordine. Il Porta Romana era la sua famiglia, oltre a quella, bellissima, con i suoi tre figli, Leonardo (sindaco di Vaglia, ndr), Simone, Beatrice, e tanti nipoti». Ancora il 6 gennaio Borchi era con la squadra a Maliseti. Poi la malattia gli ha impedito di essere fisicamente presente. «Ma la prima chiamata dopo ogni partita era per lui», racconta Alessandro Gazzareni, altro ex calciatore arancio-nero ora dirigente. Che parla delle cene, delle chiacchierate col presidente quasi se fosse un padre. La caccia, i funghi. La vita. Ricominciata quando rastrellato dai nazisti riuscì a gettarsi dal camion, tornando a piedi da Bologna a Firenze. Per scrivere una bella storia di calcio lunga oltre mezzo secolo. Che continua…
Fonte: Corriere Fiorentino